Lettera agli scienziati del futuro by Antonio Ereditato

Lettera agli scienziati del futuro by Antonio Ereditato

autore:Antonio Ereditato [Ereditato, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2023-11-07T11:39:39+00:00


7. L’arte dell’esperimento imperfetto

Nella nostra vita ci sono degli incontri di cui soltanto negli anni si capisce l’importanza. La storia ruota attorno a un libro, scritto da Daniele del Giudice, che si intitola Atlante Occidentale. Era il 1984, l’anno fatale del futuro distopico immaginato da George Orwell, nel quale scienza, fantascienza e società si mescolano in uno scenario fosco e angosciante. Il mese di maggio di quell’anno Daniele Del Giudice decise di tornare per una settimana nella Svizzera della sua infanzia e di visitare il cern. Aveva in mente di ambientare il suo prossimo romanzo nel laboratorio ginevrino, quello che di lì a poco sarebbe divenuto un bestseller e una pietra miliare dell’opera dell’allora giovane Del Giudice. Il caso volle che Daniele fosse amico del mio relatore di tesi, Crisostomo Sciacca. Criso, come lo chiamano tutti, lo aveva invitato al laboratorio «per ispirarsi», benché io sia convinto che Daniele avesse già Atlante Occidentale nella sua mente, e che quella visita «tecnica» sarebbe stata soltanto una verifica di idee e concetti a lui ben chiari. Lo scrittore fa dire a uno dei suoi personaggi: «al cern cercano l’essenza del materialismo». Forse è vero, ma Daniele sapeva che le semplificazioni eccessive non funzionano mai, e che quella strana zoologia umana con i suoi comportamenti e i suoi strani riti meritava una verifica sul campo.

Il soggiorno durò circa una settimana, denso di visite ai laboratori, ma anche di incontri con persone, ricercatori e ricercatrici, studenti e docenti impegnati a vario titolo nelle attività del laboratorio, e non solo. Ebbi la fortuna di frequentarlo durante quei giorni, grazie all’intercessione di Criso, che «mi usò» come guida e come organizzatore di qualche serata conviviale a base di mozzarelle appena arrivate da Napoli, rigorosamente senza passare dal frigorifero, ma portate a mano a Ginevra da volenterosi laureandi. Il premio per me fu duplice, da una parte conobbi una persona speciale, intelligente e sensibile, la quale, non essendo un fisico «immerso» in quel sistema sociale molto particolare, percepiva chiaro e forte il messaggio che emanava da un’umanità singolare ma interessante che viveva nel laboratorio; d’altra parte, Daniele, riportando scrupolosamente le sue osservazioni e le sue riflessioni su quello che viveva quotidianamente, mi fece entrare, mio malgrado, nelle pagine del suo taccuino, che sarebbe poi stato strumentale alla scrittura del romanzo. Ancora oggi mi commuovo rileggendo la descrizione di quel giovane «professore» con l’accento napoletano che parcheggiava in doppia fila la Fiat 131 di fronte al suo esperimento, anche se i posti regolari erano liberi. Capii dopo, che il mio era un marcare il territorio, non semplicemente una scorrettezza gratuita. E rileggo anche le nostre discussioni sui «cernioti» tornando in auto da una cena a casa di Caterina, attraverso la buia campagna di Saint-Genis-Pouilly.

Il rapporto che si stabilisce nelle pagine di Atlante Occidentale tra Brahe, il fisico, ed Epstein, lo scrittore, andrebbe preso a modello dell’universale ed eterno dibattito tra scienza e umanesimo. Una discussione implicita e latente nella quale entrambi cercano di comprendere le ragioni dell’altro, senza nascondersi dietro il dito della propria specialità o del proprio linguaggio.



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